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fritz saxl

la fede negli astri

bollati boringhieri, torino, 2016, pp.520

isbn 9788833927640


ernst gombrich

a cavallo di un manico di scopa

electa-leonardo arte, milano, 2001, pp.256

isbn 9788883101885


di anita pepe

state già sbirciando le previsioni astrologiche per il nuovo anno? non sentitevi in colpa: noi siamo figli delle stelle... e per ricordarcelo, tanto per mischiare fanti e santi, ripeschiamo dagli scaffali un libro mitico, in tutti i sensi: “la fede negli astri”. edito in italia da bollati boringhieri, il testo di fritz saxl ripercorre il lungo cammino che, dall’antichità al rinascimento, garantì “la sopravvivenza degli antichi dei” (per citare un saggio altrettanto capitale, quello di jean seznec). furono naturalmente gli artisti i principali alleati delle menti più brillanti del medioevo e del rinascimento, che s’ingegnarono a scrutare le costellazioni non tanto per scopi puramente speculativi, quanto per ricavarne predizioni sul futuro: non così netta era la distinzione tra astronomia e astrologia, e anzi fu proprio quest’ultima a dare impulso alla prima. interessante un passaggio - non troppo nascostamente autoapologetico - del capitolo v, in cui l’autore, collegandosi al rinnovato interesse per l’astrologia manifestatosi prima della grande guerra, dichiara esplicitamente che “per uno studioso non sarà [...] degradante […] occuparsi di questo fenomeno”. nel difendere la propria scelta, saxl sottolinea come sarebbe impossibile comprendere appieno lo sviluppo di alcune civiltà ignorando i motivi che le spinsero ad interrogare il cielo, per placare  inquietudini, ricevere risposte, trarre auspici. una disciplina, l'astrologia, tanto diffusa da resistere anche in un mediterraneo ormai lontano dalla “globalizzazione” romana, quando il contatto tra le culture araba, ebraica e cristiana salvò una parte preziosa del patrimonio classico anche grazie all’identificazione tra pianeti e divinità pagane. in questa affascinante cavalcata iconografico-zodiacale, si passa dai codici miniati alla rinascimentale volta della farnesina, per finire, in pieno clima controriformato, con gli affreschi del capitolino palazzo rucellai dipinti da jacopo zucchi.

a mo’ di strenna natalizia, la proposta a latere è un altro vintage analogamente riconducibile al milieu del warburg institute: “a cavallo di un manico di scopa” di ernst gombrich, variegata raccolta di interventi che spaziano dalla psicologia della percezione all’estetica. col puntiglio dell’erudito di un tempo, lo studioso vanta un approccio pluridisciplinare che divaga con disinvoltura tra epoche e linguaggi. anche se un po’ datato, anzi proprio in quanto tale, tra gli spunti che il libro può offrire c'è un quesito didattico:  potrebbe uno studente universitario, oggi, affrontare un simile testo? partendo dalla categoria più diffusa, quella dell'utile, a che cosa mai serve una pubblicazione di oltre mezzo secolo fa? un'altra domanda riguarda la capacità di fruire con le adeguate curiosità, profondità e umiltà di un lavoro che procede per rimandi e citazioni: senza scomodare le tragiche statistiche sull’analfabetismo funzionale, prevale nel terzo millennio un’accidia intellettuale inoculata a partire dai gradi inferiori di scuola: la scarsa abitudine alla complessità, all’analisi, all'approfondimento rischia di fare di gombrich una tela di ragno anziché una trama di fili luminosi che la “generazione wikipedia” potrebbe tranquillamente sbrogliare, con un pizzico di pazienza e buona volontà. e se, data la situazione, il futuro degli studi storico-artistici vi appare poco confortante, non resta che confidare nell'aiuto delle stelle.

numero 0,4
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